Patanjali, fondatore del sistema dello yoga e autore degli Yoga Sutra (600 a.C.200 d.C.), l’antico testo che stabilisce la pratica e la filosofia dello yoga. Il testo illustra in sintesi il cammino yogico volto alla realizzazione del . Nel secondo capitolo Patanjali descrive le cinque afflizioni dell’uomo, i KleshaAvidya, Asmita, Raga, Dvesa, Abhinivesa.

Klesha indica uno stato di afflizione, di dolore, di angoscia, di tormento, di preoccupazione terrena. Tale sostantivo viene quindi ad indicare nelle teologie e nelle dottrine hindū e buddhiste, quell’insieme di condizioni mentali che vincolano gli esseri viventi al doloroso samasara, (ciclo delle rinascite). I Klesha è un termine sanscrito che tradotto letteralmente significa veleno,  sono gli ostacoli  responsabili della nostra sofferenza. 

Avidya è la radice di tutti gli altri klesha: è ignoranza nel senso di nescienza, cioè l’incapacità di distinguere tra ciò che va compiuto oppure evitato per raggiungere la felicità ed evitare la sofferenza. L’ignoranza di solito non è considerata un’ emozione nella cultura occidentale eppure è un fattore mentale che impedisce un riconoscimento lucido e vero della realtà, esso è uno stato mentale che oscura la saggezza e provoca afflizione.

E’ come un meccanismo di autoinganno sottile per cui tutto ciò che desideriamo avere in realtà ci illudiamo che quando l’avremo ottenuto saremo felici, ma poi ci accorgiamo che desideriamo qualcos’altro…passando tutta la vita a cercare… 

Asmita senso dell’io,

è il processo che ci fa identificare con la parte materiale con cui la coscienza viene a contatto ( il nostro corpo, la nostra mente) il nostro io che vuole possedere le cose, si può definire il nodo fondamentale del nostro percorso interiore.

Raga desiderio,
si fonda sulla memoria del piacere; sono attratto da qualcosa perché ricordo che in passato mi ha dato piacere, e ho un’aspettativa del piacere che si basa sul ricordo. 

Dvesa è il contrario, avversione,
si basa sul ricordo del dolore: tutto ciò che mi ricorda anche lontanamente quel dolore deve essere evitato. E questo porta a un grande restringimento della capacità di vivere e di godere perché ovviamente non sempre le esperienze sono dolorose. Quindi il problema dei meccanismi di difesa é che sono totalmente rigidi e ripetitivi e si basano su una memoria del passato che non ci aiutano a vivere il momento presente.

Abhinivesa viene definita attaccamento alla vita, che si presenta in vari aspetti. C ’è il semplice desiderio per il piacere sessuale o per un oggetto che si vuole possedere. Ma anche l’aspetto sottile dell’attaccamento al concetto dell’ io,  al proprio ego  che è al centro del nostro essere, che definisce la nostra individualità, o l’ attaccamento alla persona, alla realtà fisica. L’attaccamento ha a che fare, essenzialmente con un tipo di legame che fa vedere le cose come non sono. Porta a pensare che le cose sono permanenti, ad esempio che l’amicizia, gli esseri umani, l’amore e le proprietà siano durevoli. Attaccamento quindi significa aggrapparsi al proprio modo di percepire le cose.
Quello che dobbiamo imparare è come fare a scegliere qual è la strada giusta da percorrere visto che i klesha distorcono la realtà. Innanzitutto dobbiamo riflettere sul fatto che ci sono solo due strade percorribili una è quella giusta e una è quella sbagliata. Se percorriamo la strada nella giusta direzione i klesha diverranno  sempre più deboli e la nostra consapevolezza sempre più forte. Vivremo in uno stato di felicità  in quanto non ci faremo coinvolgere dalle cose, non ci preoccuperemo di ciò che ci accade intorno e non ci faremo influenzare dagli altri. Ma se andremo  nella direzione sbagliata, ci illuderemo che stiamo percorrendo la strada giusta, ma in realtà saremo solo imprigionati dai klesha che ci faranno perdere ogni speranza e ci porteranno all’autodistruzione.

Basta pensare alle persone che fanno delle cattive azioni, diventano sempre più insensibili non riescono più a guardarsi dentro, non agiscono più secondo ciò che il loro cuore comanda, diventano freddi e questo poi si ripercuote sull’ambiente esterno e sulle persone che li circondano.

I klesha si manifestano sotto ogni forma; azioni, pensieri, parole, sono sempre pronti a distorcere il modo di vedere le cose, a ingannare la comprensione del mondo, delle altre persone di noi stessi e infinite altre cose.

Il nostro cuore è come coperto da questo strato di qualità negative, avidità, odio, illusione, inganni che impediscono alla calma di penetrare e della quale dobbiamo sbarazzaci. Per uscire da questa catena e liberarci dai klesha dobbiamo osservare il nostro interiore, aprire il nostro cuore, rompere questa barriera impenetrabile e sviluppare la saggezza, che è sempre stata dentro di noi già quando ci trovavamo nel grembo materno, ma è stata accantonata in un angolo, e lo yoga e la meditazione sono un mezzo per ritrovarla. 

E’ un processo di rieducazione della mente, ma purtroppo per fare ciò non basta la volontà, alcune persone possono avere una saggezza innata ma non riescono a tirarla fuori e usarla correttamente  perché non hanno abbastanza consapevolezza per sostenerla, curarla, controllarla; come una pianticella che per crescere deve essere innaffiata costantemente per dare frutti. La saggezza può sorgere solo attraverso uno stato di calma interiore e per rieducare la mente bisogna raggiungere questo stato di calma.