Yama e Niyama sono dieci regole di comportamento e di stile di vita per chi pratica lo yoga, per migliorare la nostra condotta nei confronti degli altri e di noi stessi. 

YAMA, CHE COSA SONO?

Il primo degli ashtanga, gli otto stadi dello yoga, come descritto da Patanjali nei suoi  Yoga Sutra, sono gli Yama.

Yama deriva dal sanscrito yam che significa “controllare” e indica i principi etici riguardanti il comportamento e la condotta morale dell’individuo.
Gli Yama secondo Patanjali possono venire compresi e praticati al livello dell’azione, della parola e dell’intenzione. Questi tre livelli vanno dal più materiale al più metafisico, dal più terreno al più aulico (elevato), dal più basso al più alto. Per coltivare i principi morali è buona norma partire dal basso, agendo sul livello dell’azione. Con la pratica poi si rifletterà sul piano prima della parola e poi dell’intenzione.

Gli Yama non sono divieti, bensì principi esistenziali che guidano ciascuno di noi a conoscere se stesso e la propria natura nelle relazioni con gli altri e con l’ambiente che ci circonda; sono stati di coscienza, atti di responsabilità e disciplina, verità e onestà che ci coinvolgono in prima persona e hanno un enorme influenza sugli altri e sul mondo.

Ahimsa:  considerato il più importante degli Yama, significa “non violenza” o anche “non fare del male“. Questo principio abbraccia tutti gli aspetti nella vita e intende che non ci dovrebbe essere nessuna forma di violenza nei pensieri, nelle parole e nelle azioni.

Satya: è collegato al dono della parola e la modalità con la quale utilizziamo questo dono,  si riferisce alla verità e al fatto di essere onesti sia con noi stessi che con gli altri.

Asteya:  viene tradotto come non rubare ed è comunemente inteso come non appropriarsi di ciò che non ci appartiene.

Brahmacharya:  l’essenza di brahmacharya è la dedizione a ciò che stai facendo senza rincorrere il piacere, poiché questo rende infatti impossibile acquisire la conoscenza.

Aparigraha: non-attaccamento, questa pratica consiste nel cercare di vivere una vita semplice, prendendo ed utilizzando solo ciò di cui si ha bisogno.

NIYAMA, CHE COSA SONO?

Mentre Yama sono pratiche di tipo morale e spiegano cosa non fare, Niyama sono di tipo disciplinare e spiegano invece cosa fare.

La parola niyama significa rispetto, obbedienza, scrupolosità e si riferisce alle osservanze yogiche, cioè i comportamenti che uno yogi dovrebbe seguire nella propria vita.

Gli  Niyama sono anche definiti come le attitudini e i comportamenti da seguire mentre si affronta il percorso dello yoga .
Tradizionalmente si deduce che quando la pratica degli Yama, i principi etici e morali, si è stabilmente consolidata, l’aspirante potrà cominciare ad affrontare il secondo degli Ashtanga Yoga, gli 8 stadi dello Yoga, spiegati dagli Yoga Sutra di Patanjali, ovvero gli Niyama. In realtà questi due stadi sono molto legati tra di loro e dovrebbero essere praticati contemporaneamente.

Saucha:  (Purificazione, purezza della mente e del corpo)

È da intendersi come purezza fisica, mentale e morale, anche se normalmente viene riferita al primo dei significati. Nello Yoga esistono moltissime pratiche di purificazione, dall’accurata pulizia del corpo a quella di singole parti come il naso, la lingua e l’intestino. Anche le tecniche come le posizioni ed il controllo del respiro svolgono azione di purificazione sia dei canali e dei centri di energia sottile (nadi e chakra), sia del sistema nervoso e della mente.

Santosha:  (Appagamento, vivere la vita secondo natura, non moltiplicare i bisogni )

Lo yogi ricerca felicità e serenità dentro di sé. Conseguentemente opera con il dovuto distacco nei confronti del desiderio di accumulare qualsiasi tipo di ricchezza; egli non si aspetta nulla dagli altri, pur restando sempre aperto ad ogni scambio. Una condizione di appagamento è indispensabile per concentrarsi nella ricerca interiore, vincendo la tendenza della mente a volgersi verso l’esterno, mantenere la mente in uno stato di contentezza, accontentandosi di ciò che si ha.

Tapas: ( Austerità, apprendere la sopportazione delle condizioni umane avverse)
Indica lo spirito di sacrificio nel fare del bene agli altri senza pretendere nulla in cambio, senza la vanità delle proprie azioni e pensando che proprio questo tipo di comportamento rende elevata la nostra vita dal punto di vista spirituale.

Svadhyaya (Studio e conoscenza di Sè)
Costituisce il primo passo per il cambiamento e l’evoluzione nella ricerca spirituale. Solo conoscendosi sempre più a fondo e con onestà, senza che questo degeneri in atteggiamento ossessivo, si possono porre le basi per l’avanzamento e la realizzazione.

Ishvarapranidhana: (Abbandono alla volontà divina)

Attraverso la pratica dell’abbandono si esprime la consapevolezza dei propri limiti e cessa la resistenza ad opporsi ad eventi ineluttabili, sviluppando al tempo stesso la capacità di adattarsi nel modo migliore ai mutamenti della vita. Questa condizione non esprime passività, ma la modestia di chi percepisce le forze della vita come qualcosa di superiore a quelle personali e non coltiva l’illusione di poter decidere e controllare gli eventi. Isvara pranidhana letteralmente significa abbandono a Dio e alla sua volontà.

“Senza stabili fondamenta una casa non può reggersi. Senza la pratica dei principi di yama e niyama, che pongono stabili fondamenta alla formazione del carattere, non può esistere una personalità completa. La pratica delle asana senza il sostegno di yama e niyama è semplice acrobazia.” (Iyengar B.K.S.).